Il mio viaggio in Terra Santa

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Il mio viaggio in Terra Santa

Qualcuno ha detto che chi viaggia cerca se stesso. Ci sono momenti anche nel quotidiano in cui il nostro “cercare”, il nostro essere mendicanti d’infinito, si fa più acuto. In uno di questi momenti ho deciso di andare in Terra Santa.

Il primo viaggio che partiva con la presenza di don Aldo Mei, al quale noi fabrianesi ci affidiamo quando si decide di affrontare questo viaggio, perché è nota la sua competenza teologica ed organizzativa, era quello della Corale di Santa Cecilia.

L’idea mi è piaciuta subito, poi ho saputo che ci avrebbero accompagnato anche don Alfredo Zuccatosta e don Lorenzo Sena, mi è sembrato che non si potesse chiedere di più.

L’impatto con la Terra di Dio spesso ci ha commossi, a volte ci ha storditi, a volte ci ha amareggiati. L’immagine più bella che conservo nel cuore è il momento in cui siamo arrivati sulle rive del mare di Galilea. Noi eravamo 90 e tutti camminavamo verso la riva. Il cammino non era agevole perché sassi grandi e piccoli arrivavano fino all’acqua. Io, ero rimasta un po’ indietro così potevo vedere bene la scena, poi don Aldo ha cominciato a parlare con le braccia alzate, alcuni erano già seduti altri stavano ancora camminando. Non è stato difficile vedere Gesù che parlava alle folle e poiché a perdita d’occhio non c’erano case, ne persone, ti sembrava di vederlo Gesù che camminava sulla riva.

Un altro momento molto significativo è stato vedere le donne ebree che pregavano dondolandosi e leggendo i salmi al muro del tempio. Mi sono messa in fila con loro, erano tante e c’erano tanti bambini nei passeggini. Don Aldo ci aveva raccomandato di non ridere e fare commenti nel vedere comportamenti e abbigliamenti lontani dalla nostra cultura, ma io non ho trovato niente per cui ridere. Quando sono arrivata al muro ho poggiato le mani sopra le teste delle mie sorelle ebree ed ho pregato perché fosse pace per Gerusalemme e credo che tutti noi abbiamo fatto la stessa preghiera.

Un episodio che prima ci ha meravigliato e poi suscitato ilarità è stato la chiusura della chiesa del Santo Sepolcro. Era sera; è arrivato l’arabo proprietario del diritto di apertura e chiusura della chiesa, ha appoggiato una scala sulla porta per arrivare alla grossa serratura posta in alto, poi è sceso per contrattare l’apertura del giorno successivo (in termini economici). Nel frattempo il Pope ortodosso che ci aveva cacciati poco prima perché era ora di chiudere aveva indossato un cappello alto e tondo, poi è arrivato il “prete” armeno con un cappello nero a punta e poi c’era un giovane francescano con il saio che siamo abituati a vedere da sempre. Si è svolta la trattativa, che sicuramente era un po’ a beneficio dei turisti perché ogni tanto si sentiva ridere chi era in prima fila, ma comunque è una tradizione antica che costringe le religioni cristiane che hanno in custodia i luoghi santi e che sono sempre in competizione fra loro, a fare i conti anche con l’arabo della porta.

Molto intenso è stato il concerto a Betlemme, e credo che ogni volta che sentirò un canto natalizio ricorderò il coro e il suo bravissimo maestro che in quella occasione hanno dato il meglio di se stessi.

Avere compagni di viaggio della mia città, è stato importante, perché nel bene e nel male sono i miei compagni di vita. Li ringrazio per il loro sostegno discreto. Ringrazio anche chi ha fatto la fatica non piccola di organizzare il tutto.

Mi avevano detto che questo viaggio avrebbe lasciato il segno……credo che avessero ragione.

Letizia Schicchi

 

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