UN CORO TRA I MIGLIORI D’ITALIA
Un coro tra i migliori d’Italia A tu per tu con il Coro Polifonico di Santa Cecilia – Sensibiltà più che virtuosismo – L’appassionato slanico dei 54 coristi – Soprattutto musica classica. Il Coro Santa Cecilia. mi ha dato sempre l’impressione di un che di claustrale, di un assieme di voci da “messa cantata”, di un qualche cosa che non riuscivo a cancepire al di fuori di un lamentoso salmodiare, di un noioso rituale uso “saecula saeculorim”. Un’idea conseguente – forse – il ricordo di messe cantate servite a strascichi di noia quand’ero bambino, di funzioni sorbettate in quegli anni di collegio dei quali ho impresso solo il rito della coercizione, dell’obbedienza forzata, del convenzionalismo. Allorchè gli usi ed i costumi riuscivano ad alterare ogni senso di fede nel nome di un tradizionalismo “Made in Italy” con aggiunta di conservatorismo predicato in famiglia. E non nego – fatti i dovuti chiarimenti – di essere rimasto sorpreso, meravigliato quanto entusiasta di quell’esperienza che tratto nel settembre scorso a presenza diretta: in un Duomo gremitissimo. Un’esperienza della quale intendo parlare ad animo aperto, con la spontaneità che mi è abituale, con il dovere anche di una confessione da fare ad ammenda dovuta: a giusta espiazione. Già dal banco dove ero riuscito a trovare posto – a pena – un amico che mi ero dietro – colpeggiandomi la spalla – aveva anticipato il giudizio giusto. “Io ci vengo sempre. è uno dei migliori d’Italia!”. E mi distolse la sfilata dei cantori scesi a prendere posto, a gruppo, lungo gli scalini prospicienti l’Altare Maggiore. A centro chiesa. Attesi l’ansia dell’attacco con animo ancora critico, poi le prime voci mi presero, mi conquistarono, mi trascinarono in un susseguirsi di note, di flessioni, di a soli che mi riempirono di sensazioni ridestando emozioni sopite, evocazioni di concerti: con C maiuscola. Ma soprattutto mi hanno colpito i pezzi di particolare difficoltà interpretativa: come alcuni canti popolari, madrigali, ballate recuperate da testi centenari. Un complesso polifonico che al di sopra di quello che suol definirsi un perfetto affiatamento riesce ad esprimere quel contenuto poetico, religioso, ed anche folklotistico che sanziona – nel tempo – gli usi e i costumi e le caratteristiche di tutto un popolo. Sia che le composizioni siano scaturite dall’improvvisazione di un genio, sia dalla spinta emotiva di un uomo qualunque. E non di rado compaiono – nelle indagini a ricerca di studio – composizioni di ignoti. Per quanto riguarda l’esperessione più che di abilità , di preparazione tecnica, di virtuosismo debbo parlare di sensibilità . Di quella capacità di immedesimazione che pure nella coralità dell’insieme evidenzia il valore di ogni singolo attraverso il filo conduttore di un’armonia che è amalgama per assoluto: perchè in tema di musica il suono raccoglie la tematica delle vibrazioni e la traduce in timbro o colore, in qualcosa di tangibile che attraverso il senso dell’udito colpisce l’immaginazione e si trasforma – alle volte – in figura. Da pessimismo all’entusiamo, però il passo è breve alle volte: ed è il mio caso. Poichè dalla quasi indifferenza con la quale appresi del Coro di Santa Cecilia tramite Gianna, – al Bar della Posta – in mesi scorsi, al precipitare in ricerca di informazioni e di dati, di coristi da avvicinare, di elmenti da raccolgiere il desiderio di un ricordo da portare a Roma, da conservare con tutta gelosia, da riproporre a desiderio di evasioni ha chiesto alla mia irrequitezza la necessità di un incontro: con Don Ugo Carletti. Per una registrazione desiderata non più ad uso professionale ma a pura soddisfazione. “Siamo circa 54, un coro composto di uomini e donne con attività sociali tra le più disparate, insegnanti, professori, laureandi in medicina, molti studenti, casalinghe, operai. E’ una famiglia – ormai – la nostra, ragion per cui abbiamo la fiducia di poter continuare con questa attività cercando di far conoscre la musica – non tanto la folkloristica che abbiamo eseguito ieri sera – classica polifonica, in modo particolare religiosa. Siamo andati a Roma, in diverse parti d’Italia. Lo scorso anno siamo stati anche in Germania – a Stoccarda – dove abbiamo eseguito un concerto che è piaciuto in modo particolare ai tedeschi per quelle nostre musiche tradizionali come le napoletane e quelle di altre regioni d’Italia” Leggo l’entusiasmo negli occhi di Don Ugo, o meglio della fede nel suo coro ed in quella che potrebbe chiamarsi anche la sua missione. Don Ugo sacerdote si confonde con Ugo Carletti il musicista: il Maestro la cui vocazione ed ispirazione musicale si fondono in una tematica del sensibile. Un uomo cui la Voce di Dio e la passione del pentagramma trascinano nel compito non facile di guadagnare anime e accondiscendenza di ascoltatori. “Abbiamo avuto, giorni fa, un rappresentante dei Beni Culturali che si trova a Londra e venuto a Fabriano in visita alle Cartiere. Ha sentito parlare di noi ed ha voluto presenziare una nostra prova. Ne è venuto fuori entusiasta ed ha dichiarato tutta la sua speranza affinchè si possa rendere possibile un’esecuzione del nostro Coro a Londra o in Scozia o in entrambe le parti. Due concerti…” La foga di Don Ugo mi trascina ma cerco di non farmi prendere la mano; sottilizzo nelle domande con meno cattiveria di quanto non si fosse racchiusa la prevenzione che mi assaliva una volta, ma con un tocco di sottile ironia. Senza meno un’ironia forzata per conservare il punto preso, per non cadere di primo acchitto alla resa. ” In genere ci diamo molto alla musica classica sacra ( ci risiamo, penso) del 500 ed alla musica profana classica polifonica del 500 e 600. Alla musica polifonica profana moderna. Però abbiamo molti mottetti (ci ritorna), molti brani anche a carattere liturgico. In modo particolare Palestrina ed altri autori. Sempre senza accompagnamento: soltanto voci: tenore, basso, soprano, contralto. Questa la nostra caratteristica”. Man mano che Don Ugo mi parla mi sento più buono. La mia aggressività si attenua, il desiderio di punzecchiare diminuisce e su ogni mia sensazione torna a prevalere la verità dell’entusiasmo. Perchè in fin dei conti ho provato a bleffare con me stesso ma non ci sono riuscito. Ho cercato di usare i ferri del mestiere per mettere in imbarazzo l’intervistato, per avere la possibilità di analizzarlo fino in fondo, per mettere a nudo tutta la sua capacità . Ed ho scoperto…un uomo davvero eccezionale. Un uomo che opera sotto la spinta di una convinzione assoluta, che trova nella musica l’espressione più elevata del “credo” ed il mezzo più idoneo al compimento della propria missione. Ma ho notato anche l’appassionato slancio di quanti fanno parte del Coro. Una esternazione aperta delle loro tendenze, delle loro aspirazioni, a quelle levazioni che staccandosi dal misticismo bigotto riescono davvero ad innalzare fino a Dio. E sembra strano che in una rappresentazione di musica – come ce ne sono tante altre – sia possibile raggiungere le vette dell’Assoluto. ” La prima parte raccoglie brani di musica piuttosto seria, classica e profana. La seconda parte rientra nel folklore, in modo da variare” E’ un’osservazione che Don Ugo mi sgancia a freddo. Più che altro una precisazione dovuta al fatto che spesso il pubblico – non dotato a pieno di competenza in fatto di musica classica – corre il rischio di addormentarsi ed allora. Un modo di uscirne fuori con tutta maestria. Ma mi domando se sia il caso di esprimersi così in fatto di concerti tenuti dal Coro polifonico di Santa Cecilia in quel di Fabriano. D’altra parte va aggiunto che quanti accorrono a certe manifestazioni d’arte o sono competenti, quindi appassionati o (per pudore verso me stesso e verso gli altri non mi pronuncio). L’incontro si ravviva fino a toccare – quasi – il limite della confidenza. Vorrei proseguire, prolungare il colloquio ma Don Ugo ha fretta. Ho appena il tempo di rammaricarmi per la mancata registrazione del Coro nella rappresentazione di ieri sera che Don Ugo mi conforta con un omaggio: il disco grande, in long-playng come lo chiamano oggi – in sigla LP – da ritirare al Bar della Posta. Me lo offre, a suo nome, Giuseppe Polucci che del Coro Santa Cecilia fa parte con la moglie e le figlie.
Piero Papini