Lettera da Mantova – NATALE A FABRIANO
Nella sua frequente corrispondenza da Mantova con l’Azione dedica uno spazio al Coro quando dice: Ho avuto in dono da carissima amica il disco dei canti del Coro Santa Cecilia. L’ho ascoltato qui nel mio ufficio che più ufficio impersonale è il luogo dove mi rinchiudo per essere solo con me stesso. L’ho ascoltato e, credo, capito. La musica è capita dai poeti come un fatto esclusivamente melodico e di ritmo. E’ intesa come canto verace. L’uomo canta per una necessità naturale dell’anima, per dar voce al sentimento: il canto è perciò liberazione e come tale procura un sottile intenso piacere, distoglie l’individuo dal suo congenito egoismo e lo porta ad essere diverso da quello che era. Nessuno sfugge a questo misterioso incanto: si spiega così appunto il mito di Orfeo che ammansisce le belve, trascina le pietre e le piante, interrompe il corso dei fiumi e intenerisce le tremende deità infernali. E cantare insieme vuol dire partecipare allo stesso stato d’animo che ci possiede. Così mentre le voci note del coro si affondano per la stanza io rivedo Don Ugo, Emilia, gli altri: ascoltandoli. Non mi preoccupo di sapere se il brano si chiama violetta o madrigale, e neppure se è moderno o antico, mi esalta il suono, la musica, che mi fanno rivivere giorni passati e situazioni dimenticate con la magica proprietà della melodia che cova nel profondo del cuore di ognuno. Poi quando il silenzio chiude l’esecuzione e non si ascoltano battiti inutili delle mani, ma solo il battito intenso e meraviglioso del cuore, allora al di sopra, oltre questi brandelli di preziosa poesia, vedi specchiarsi te stesso, la parte migliore di te, nel cielo purissimo.
Dorando Valenti