L’ Alhambra e gli hombres

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L’ Alhambra e gli hombres

Appunti di viaggio di una corista lungo la Costa del Sol

5 Luglio 2007: Nerja, il Balcone d’Europa
In questa cittadella della Costa del Sol, ad una folata di vento dall’Africa, abbiamo dato vita ad uno dei concerti più brillanti, a mio avviso e per quanto io possa ricordare, della storia della Corale Santa Cecilia.

A differenza del concerto eseguito a Malaga il 3 luglio, quasi esclusivamente di atmosfere “sacre”, questo è stato caratterizzato da una tematica più “profana”: ci siamo infatti dilettati in canti che hanno abbracciato un largo raggio di suggestioni musicali. Partendo da melodie popolari proprie di varie regioni d’Italia (come Ma se ghe penso, brano ligure arricchito dalla preziosa voce solista di Alberto Mariani e O sole mio, internazionale canto interpretato da Marco Gregori), abbiamo poi fatto un divertente salto nel Gospel e Jazz americani dove la nostra piccola mascotte, la giovanissima Beatrice Mezzanotte, ha stupito tutti con il suo canto a solo in Summertime. A conclusione dello spettacolo siamo tornati in Italia, patria dell’Opera, con l’esecuzione di un immancabile e doveroso Va’ pensiero e del brano Insalata italiana, giocoso pezzo di Genèe, omaggio appunto all’Opera italiana, reso ancora più frizzante dai solisti Francesca Bertini, Alberto Mariani ed Enrico Mariani che non si sono limitati a cantare ma hanno anche recitato e mimato (con l’incursione tra il pubblico di Enrico Mariani del tutto inaspettata anche per noi coristi) ciò che il testo suggeriva.

Ma questo concerto rimarrà memorabile dentro di me soprattutto grazie al geniale estro del Maestro Marcello Marini che a metà concerto ha iniziato ad improvvisare e a giocare con le note insieme a noi coristi… è stato meraviglioso “fare musica” insieme, di fronte ad un pubblico che, mi piace pensare, avrà forse creduto che fosse tutto calcolato e invece stava tutto nascendo lì sul momento.

In realtà siamo stati noi coristi ad assistere ad uno spettacolo.

 

Gioia Senesi

 

7 Luglio 2007
Siamo giunti all’ultima sera di questa splendida tournée-vacanza nella “caliente” terra di Spagna. Non potevamo non concludere il nostro soggiorno con qualcosa di tipicamente spagnolo: una serata all’insegna di spettacoli dedicati alla “malagueña”, ballo caratteristico della città di Malaga che ci ha ospitato, e al flamenco.
Lo spettacolo di flamenco si è svolto in un localino dal nome suggestivo “Vista Andalucìa” e, al canonico orario di mezzanotte e mezzo, tre ballerine andaluse, vestite dei tipici abiti gitani, hanno iniziato lo spettacolo al ritmo delle nacchere e del consueto battito di piedi. Devo ammettere che si è trattato di una performance di tipo “turistico” e non propriamente aderente al genuino flamenco a cui mi è capitato di assistere in altre zone della Spagna, come Siviglia: il vero flamenco deve trasmettere il pathos e la sofferenza degli zingari; i colpi dei piedi devono emergere molto di più insieme alle urla di dolore da cui poi scaturisce il canto; come sottofondo era presente troppa musica e troppa confusione, invece il flamenco puro è fatto dal suono disperato della chitarra che solo gli spagnoli così sanno suonare. E soprattutto… mancava l’uomo… ma, a questo le tre ballerine hanno trovato rimedio: infatti hanno invitato a danzare con loro i nostri “hombres” Alberto Mariani e Quinto Balducci che se la sono cavata molto bene. Per non parlare della performance di Francesca… davvero una danzatrice di flamenco mancata!
A conclusione dello spettacolo è stato poi possibile per noi coristi proseguire le danze e dunque, in definitiva, il flamenco di questa serata non avrà perfettamente rispecchiato il vero ma è stato molto simpatico e ha permesso a tutti noi di salutare la Spagna tra canti e balli.
Gioia Senesi

Granada: “La Rossa”
Granada 1492
“Scappa! Salvati!…E con te salva anche La Rossa!”
con queste parole il Sultano ferito a morte mi aveva dato il suo ultimo saluto. Ed io, forse perché ero nata per eseguire gli ordini, iniziai a correre…giù per un oscuro cunicolo e, quando tornai a rivedere la luce, il fragore delle armi dell’esercito cristiano, venuto a riprendersi il suo ultimo Regno, era ormai un indistinto suono lontano. Così mi trovai a vagare per i sobborghi di una città che non avevo mai visto…unico ricordo dei sontuosi palazzi reali, in cui ero vissuta fino a poco prima, era il colore rosso delle viuzze, delle strade, delle catapecchie. Quando…qualcuno mi prese dolcemente per il lembo del vestito logoro che mi era stato ordinato di indossare perché non fossi riconosciuta come un’abitante dei Palazzi e potessi fuggire indisturbata…mi voltai, era un vecchio cieco a parlarmi come una musica: “Dale limosna, mujer…que no hay en la vida nada como la pena de ser ciego en Granada”…Mi avvicinai a lui: “Señor…non ho nulla da darvi, ma capisco la vostra sofferenza…posso darvi solo la mia voce…e ciò che ha da raccontare”. Il mendicante mi fece segno di sedermi accanto a lui…e fu così che, con un racconto, iniziai a salvare La Rossa, L’Alhambra…
Non vi dirò qual è la mia vera identità, non mi è possibile…Sappiate soltanto che sono una donna araba che ha molto amato e, per questo, ha molto sofferto. Ho vissuto nel Palazzo dell’Alhambra nel momento del suo massimo splendore e, insieme a tutte le altre giovani donne della mia età, sono stata la concubina del Sultano.  Per noi questa è una condizione del tutto naturale, l’unica condizione…nasciamo per questo. Avevamo anche una certa libertà…potevamo godere della bellezza dell’Alhambra, Palazzi così meravigliosi che nessuna fantasia può immaginare. Da quaggiù, ora che li vedo, non sono altro che mura turrite, spoglie, semplici…ma…al di là di quelle mura, credetemi, c’è il Paradiso in terra…solo chi c’è stato può comprenderlo davvero. Saloni dorati, stanze decorate di alabastro, finestre lavorate come merletti…ogni più piccolo spazio non poteva rimanere spoglio ma doveva essere riempito di ornamenti di ogni sorta, come mosaici di maiolica colorata o fantastici motivi floreali o legni intagliati e dipinti…nell’Alhambra sentivi la grandezza e lo splendore. E usciti dalle sontuose dimore si poteva entrare in un altro Paradiso… quello dei giardini, ricchi di varietà di fiori colorati e profumatissimi. In ogni angolo poi il vivace suono dell’acqua che zampillava giocoso dalle mille fontane rinfrescava l’animo. In questi giardini nacque il mio vero amore: passeggiavo un mattino in solitudine quando, presa dai pensieri, mi ritrovai senza accorgermene nel Labirinto di siepi…provai ad uscirne…ma niente, ero sempre in qualche altro posto in cui non ero mai stata. Dopo lungo vagare, giunsi in un patio bellissimo, con una grande vasca nel mezzo in cui si specchiavano alti alberi ombrosi. Sotto uno di questi si riposava un giovane cavaliere. Quell’albero ci fu testimone: rigoglioso e fiorente quando il nostro amore viveva, appassito e decadente giorno dopo giorno dal momento in cui il Sultano spezzò la vita al mio cavaliere.
Con le lacrime agli occhi la giovane morena ritornò alla sua fuga. Ma… se vi capitasse di aggirarvi oggi per le rosse vie di Granada, potreste ascoltare ancora un vecchio mendicante cieco cantare i racconti dell’Alhambra.

Gioia Senesi

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