L’Estonia in visita da noi
Nell’ambito delle attività di conoscenza e scambio che, con lo stimolo della comunicazione globale, caratterizzano sempre di più la vita delle associazioni culturali, il gruppo corale Santa Cecilia ha ospitato il Coro Maschile di Turnpu, proveniente dall’Estonia e in particolare dalla capitale Tallinn. Ad un anno di distanza dal viaggio compiuto nel paese baltico, i coristi del Santa Cecilia hanno organizzato, nella serata di martedì 22 luglio, un concerto nella cornice del chiostro di San Venanzo, in verità raramente utilizzato per manifestazioni musicali. Nell’ occasione, si è avuta la possibilità di venire a contatto con aspetti estranei agli schemi di pratica e fruizione corale che connotano gli ambienti a noi più prossimi. La struttura a voci pari maschili, innanzitutto, che, al di fuori della nicchia rappresentata dai cori di montagna, ha ben poco seguito nel nostro paese, dove i motori di aggregazione maschile raramente superano i confini dell’attività sportiva. Nell ‘Europa settentrionale, in particolare scandinava e, come nel nostro caso, baltica, le condizioni di vita dettate dalla latitudine inducono invece ad usare canali sociali divergenti da quelli delle aree mediterranee. La pratica corale e musicale ha quindi un ruolo centrale nell’ organizzazione del tempo, condizionato ad esempio dai rapporti estremi di durata fra il giorno e la notte, e gli indicatori prima evidenziati sono rintracciabili anche nel carattere stilistico delle esecuzioni ascoltate. Attraverso la direzione incrociata di Ene e Tonu Kangron, con la collaborazione alle tastiere di Liina Jdks, Marcello Marini e la partecipazione solistica di Brunella Tacchini, si è potuta ascoltare una generosa sequenza di brani, sacri e profani, ispirati al linguaggio nazionale estone, segnato da una linearità armonico-melodica aliena da asperità formali e simbolicamente aderente alla natura pianeggiante del territorio. Coerentemente con questo dato, le elaborazioni corali hanno evidenziato la prevalenza di disposizioni vocali non astrattamente contrappuntistiche (con conseguente uso disinibito di unisoni) e delineate a parti strette, senza, cioè, picchi melodici dei tenori, come per esempio avviene nei già citati cori alpini. Altro dato da segnalare, oltre al piacevole intermezzo strumentale con la giovanissima violoncellista Maarit Kangrom, è sicuramente l’uso di semplici movimenti coreutici. Se una superficiale valutazione può ascriverne la pratica ad un mero espediente per rendere più accattivanti le esecuzioni, va invece detto con forza che ciò testimonia una concezione della pedagogia corale dove il movimento non rappresenta una bassa istintualità ma costituisce, al contrario, la base fisiologica e mentale dell’apprendimento musicale. Considerato l’evidente arricchimento, in termini affettivi, sociali e culturali, che si manifesta in tali occasioni e in virtù dell’ormai consolidata usanza di entrare in contatto con realtà corali diverse dalle nostre, è ormai auspicabile che in un futuro prossimo si riesca, da parte di qualche coro del nostro territorio, a portare gruppi appartenenti non solo alla tradizione musicale occidentale, ma anche provenienti da culture più lontane.
Emilio Procaccini